Digital Rights Management, ovvero gestione dei diritti digitali.
Persone valide e intelligenti hanno lanciato nei giorni scorsi un progetto interessante chiamato DMIN per lo sviluppo dei media digitali, oggi è la “giornata anti-DRM“, su diversi blog si discute del livello di protezione che i file digitali debbano avere.
L’argomento è senz’altro complesso: da un lato ci sono i produttori di contenuti, che vorrebbero blindare ogni singolo contenuto per trarre il maggior utile possibile. In scia i distributori di contenuti, che non accettano la filosofia “content is king” (ma “pipe is king“) e cercano di aumentare al massimo la percentuale di guadagno su ogni contenuto distribuito.
Sul fronte opposto gli utenti, che ovviamente vorrebbero pagare meno possibile il contenuto ed avere la più ampia possibilità di utilizzarlo. La filosofia, in questo caso, è “l’ho pagato e lo uso come meglio credo”. Ma ai tre soggetti citati si aggiungono decine di variabili e numerosi attori (tanto per citarne uno, il soggetto chedetiene i diritti), tanto che la filiera dei media digitali è un ginepraio spesso inespugnabile.
La domanda lato-utente è, paradossalmente, banale: se io compro un contenuto digitale, come posso usarlo? Posso trasferirlo tra media diversi? Per quante volte e con che limitazioni? Lato-azienda, le domande sono le stesse ma si aggiungono anche i numerosi bracci di ferro tra produttore e distributore: chi è il king, la rete di distribuzione o il contenuto?
Su MF di oggi c’è una proposta di Alberto Carnevale Maffè: creare una Borsa dei contenuti digitali, un po’ come accade oggi sui titoli azionari o nel settore dell’energia. Perchè – si chiede Maffè – non creare una borsa in cui si scambino i diritti sui contenuti dei nuovi media? Il contenuto è trasversale, il film non va più solo al cinema ma anche sui lettori dvd, sui video e tivufonini, sul Web, sui lettori portatili. Mercato regolamentato in misura minima, la “mano invisibile” farebbe il resto. Può funzionare?
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