Molte le reazioni all’articolo “The Web is dead. Long live the Internet” di Anderson e Wolff su Wired. Dire che il Web è morto è, ovviamente, una provocazione che porta con sè numerose riflessioni. Partiamo subito dal lato positivo: un titolo di Wired sulla morte del Web (lo sottolinea Granieri) porta l’attenzione sul tema Internet e, come effetto collaterale, sulla neutralità della rete. Male non fa, insomma, perchè a prescindere dal titolone studiato a tavolino per stupire, la discussione su temi importanti viene stimolata.
La maggior parte delle critiche riguarda l’interpretazione data da Wired ai dati di Cisco: avevo già segnalato la reazione di BoingBoing, oggi (via Luca) leggo anche quella di Techcrunch. In sostanza il Web continua a crescere, quello che cambia sono le modalità di fruizione (meno browsing, più utilizzo di servizi diversi) come giustamente sottolinea il Tagliablog.
Forse il titolo corretto è “Il Web come lo conoscevamo è morto”, perchè negli ultimi anni Internet sta cambiando. Stanno cambiando le persone che navigano, stanno cambiando i servizi offerti, sta cambiando la mentalità: inevitabile che cambi anche il Web.
Un tema parallelo che pochi hanno affrontato ma che secondo me è centrale nella discussione è se sia corretto parlare di banda utilizzata per valutare il Web. Un video pesa più di una mail, una pagina HTML pesa enormemente meno di una connessione P2P per scaricare file eppure le implicazioni che i ‘piccoli’ gesti hanno sono enormi e possono potenzialmente essere maggiori rispetto ai ‘fratelloni succhiabanda’. In altre parole, misurare il Web con la sola metrica della banda usata dai singoli servizi può essere fuorviante.
L’importanza dell’attenzione (tema caro a Luca), le conseguenze dei singoli servizi sulla massa, il tempo speso con un servizio piuttosto che con un altro (il P2P consuma tanta banda ma non richiede che l’utente sia seduto davanti al monitor) sono fattori critici per ‘misurare’ il Web e i suoi cambiamenti.
Più applicazioni e meno browsing (ammesso e non concesso che – ad esempio – YouTube sia messo sotto la categoria app e non sotto quella browsing), è quello che dice Anderson. Più applicazioni uguale interessi diversi dalla neutralità della rete, il punto aggiuntivo di Wolff.
Come sottolineato in apertura, al di là del titolo provocatorio e delle tesi discutibili sulla morte del Web, l’articolo di Wired porta al centro il Web e le implicazioni che il cambio di paradigma (dal browsing ai servizi, insomma back to basics dove il ‘tubo’ è una commodity) hanno sul mercato, sulla struttura di Internet e sulle scelte che Governi e Autorità dovranno fare per incanalare nel giusto verso le spinte contrapposte (neutralità Vs priorirtà guidata dal valore economico del singolo bit) presenti oggi su scala globale.
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