La premessa è fondamentale: il tema è complicato e non ho la pretesa di esplorarne con dovizia ogni rivolo, per cui a tratti userò giocoforza l’accetta per cesellare i concetti. In fondo, parliamo ‘solo’ di start-up, che volete che sia?
Ecco, la riflessione che vorrei condividere è che questa smania di creare aziendine o di spingere i giovani di qualunque forgia a creare la propria start-up non mi sembra la panacea di tutti i mali.
Il tasso di imprenditorialità nella popolazione – cioè la propensione a fare l’imprenditore ovvero creare e gestire un’attività in proprio – credo sia un fattore che, nel breve periodo, sia tutto sommato poco variabile. La cultura dell’imprenditorialità si cambia nei decenni, non in settimane.
Ecco perché prima di spingere dannatamente sull’acceleratore sulla creazione di nuove start-up potrebbe non essere una cattiva idea creare le condizioni al contorno affinché le aziende possano crescere e prosperare.
Se oggi vengono create 1000 aziende e 999 non vedranno mai un successo degno di questo nome, non credo sia creandone 10.000, senza cambiare il contesto circostante, che si possa aumentare la percentuale di successo.
Qualcuno dice che per la legge dei grandi numeri, più ne hai più la probabilità di avere start-up di successo aumenta. Io dico che aumenta il numero in assoluto, non la probabilità.
In un contesto di risorse davvero scarse, allora, preferirei avere 1000 start-up in grado di svilupparsi bene grazie all’ambiente favorevole che le circonda – infrastrutture, capitali, know-how, burocrazia, fisco – piuttosto che 10mila start-up che devono combattere ogni giorno contro gli ostacoli che il sistema esterno crea e fa prosperare.
E’ un desiderio sbagliato?
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