Il decreto attuativo sui nuovi PIR (Piani Individuali di Risparmio) è stato pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale, ed è dunque pienamente operativo. Senza dilungarsi troppo in dettagli, il 3.5% del capitale raccolto attraverso i PIR deve essere investito in start-up e venture capital.
Ch investe in PIR e mantiene l’investimento più di cinque anni vedrà le plusvalenze detassate. L’obbiettivo è convogliare capitale verso le piccole e medie imprese stimolando investimenti e innovazione. I PIR sono inoltre esenti da imposta di successione.
Quello introdotto con la nuova legge di bilancio è un obbligo in vigore dal primo gennaio 2019 (i PIR più vecchi, che hanno totalizzato circa 15 miliardi di euro prevalentemente nel 2017, continueranno a seguire le vecchie regole) , che secondo i promotori farà accelerare l’innovazione perchè porterà più capitali nelle settore delle start-up e in chi investe per professione in queste aziende. Da ricordare che le aziende non devono essere quotate e non devono aver ricevuto finanziamenti superiori ai 15 milioni, dunque sono escluse scale-up e aziende che, pur start-up, siano già in fase avanzata del proprio percorso di crescita.
E’ ovvio che l’incentivo fiscale sia di per sè non un regalo ma una remunerazione per il rischio: il PIR concentra l’investimento geograficamente, su aziende piccole ad alto rischio di fallimento e vincola per almeno cinque anni (si può disinvestire prima, pagando la normale tassazione). L’investimento è prevalentemente in azioni e obbligazioni, strumenti per persone esperte. Con la nuova legge, il rischio aumenta ulteriormente perchè parte del capitale andrà in aziende ad alto rischio di fallimento, non è un segreto che oltre il 99% delle startup non sopravviva nei 5 anni previsti dal vincolo.
Non a caso Bankitalia ha già messo i puntini sulle ‘i’, spiegando che le nuove regole «aumentano il profilo di rischio dei piani di risparmio e possono rendere più difficile il rispetto dei requisiti prudenziali di diversificazione e di liquidità previsti per i fondi Pir esistenti, tutti costituiti nella forma di fondi aperti».
Felici invece i professionisti del venture e del mondo start-up, che vedono nei PIR un’occasione di finanziamento a basso costo con – tutto sommato – molti meno vincoli rispetto ai finanziamenti classici.
Una delle crtitiche che arriva dal mondo bancario è che il PIR nasce per il retail (ovvero la vendita alle persone fisiche) e dovrebbe quindi essere molto liquido, mentre la normativa favorisce strumenti illiquidi. E’ dunque possibile che non vengano emessi nuovi PIR, in fondo già nel 2018 le emissioni sono state molto inferiori alle attese e inferiori al 2017.
Chi sottoscrive un nuovo PIR è un PIRla? Ovvio che no, ma attenzione a valutare molto bene l’investimento in termini di rischio e di possibilità di perdite rilevanti. Lo sconto fiscale è allettante, ma il rischio è comunque elevato e a festeggiare potrebbero essere solo i gestori di venture e le startup che ricevono finanziamenti. Insomma, non vorrei trovarmi tra qualche anno a leggere articoli sui “truffati dai PIR” come successo per investimenti a rischio proposti negli anni passati dalle banche.
Nessuno regala nulla, si rischia di vincere (tanto) o perdere (tanto)… e dovrebbe farlo solo chi ha davvero gli strumenti per capire che tipo di investimento sta facendo. Per gli altri, rimane il buon vecchio materasso…
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