Qualche spunto di riflessione sul futuro dei giornali, e dei giornalisti. Metto insieme un paio di notizie che mi hanno colpito nel weekend, lasciando a voi lettori trarre le conclusioni.
Si parla spesso di futuro dei giornali, ma l’impressione che ho è che i giornalisti non siano troppo interessati al futuro dei giornali. Spesso contrari al cambiamento, attaccati al passato (che non c’è più e non tornerà) e ai privilegi di un mestiere che è cambiato, concentrati a salvare i benefici ma mai davvero disposti a mettersi in gioco.
La riorganizzazione de LaStampa
La prima notizia è la riorganizzazione de LaStampa: meno carta (da 40 a 32 pagine), meno inserti cartacei, più digitale (copertura dalle sette di mattina all’una di notte), redazione concentrata a Torino (a Roma solo politica, Vaticano e poco altro), due turni da 40 giornalisti al servizio di Web e carta stampata. Reazione dei giornalisti? Due giorni di sciopero totale, più sciopero delle firme ad oltranza.
Gemelli diversi
La seconda notizia (preoccupante) del weekend è l’uscita di due pezzi identici – parola per parola, incluse le virgole – su due testate diverse (Il Giornale e Corriere dello Sport) a firma di due giornalisti diversi (Gabriele Marcotti da Londra e Lorenzo Auso, sempre da Londra).
Ricapitoliamo: due giornali diversi pubblicano a firma di due giornalisti diversi due articoli identici. Il tutto nel silenzio totale degli interessati, dei rispettivi caporedattori, dei rispettivi direttori e dell’Ordine dei Giornalisti.
INPGI o no, purchè con benefit
La terza area di interesse per capire un po’ meglio dove sta andando il giornalismo è l’elezione dei rappresentanti INPGI, l’istituto di previdenza dei giornalisti. E’ un tema piuttosto tecnico e da addetti ai lavori, ma in queste ultime settimane si è assistito ad un dibattito tra chi vuole “salvare” l’INPGI e chi la vuole far confluire nell’INPS.
Entrambe le soluzioni contengono elementi che mostrano come i giornalisti siano più interessati al futuro dei giornalisti che al futuro dei giornali. “INPGI deve confluire in INPS perchè così le pensioni sono garantite” ovvero siccome le entrate sono poche (perchè i giornalisti assunti sono sempre meno) allora meglio finire nel calderone così qualcun altro pagherà.
“INPGI deve rimanere indipendente, basta prendere i versamenti dei comunicatori per aumentare le entrate” ovvero forzare un mestiere (il comunicatore) in un altro (il giornalista); due mestieri che dovrebbero stare separati il più possibile per evitare pericolose commistioni. Il tutto, ovviamente, senza prendersi in carico le pensioni erogate attualmente ai comunicatori (mica scemi no? prendo i versamenti ma non le uscite) e senza rinunciare ai privilegi garantiti dall’attuale sistema (un esempio: INPGI paga – a differenza di INPS – l’infortunio extra professionale).
Errori a profusione
Sono tre esempi, ovvio. A cui unirei l’ormai imperante sciatteria tra errori di ortografia, titoli e occhielli incomprensibili, clickbaiting continuo.
Mi sembra che i diversi elementi – pur con gradi di complessità e profondità diversi – siano una cartina al tornasole sul fatto che i primi a non voler salvare i giornali siano i giornalisti stessi. Che ne pensate?
(Curioso no? Dieci anni fa scrivevo che “non servono giornali, ma giornalisti“).
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