Quand’ero piccolo c’era una barzelletta – me la raccontava mio nonno in dialetto ferrarese – che parlava di un tedesco giunto in Italia. Incontrava un contadino della bassa e per ogni ortaggio o frutto che vedeva, commentava “Noi in Germania ce l’abbiamo più grandi”. Al che il contadino, davanti ad un campo di cocomeri, disse al tedesco che quelli erano piselli sgranati, e lo mise a tacere.
Più o meno è quello che succede ogni giorno nella comunicazione para-governativa di quel nugolo di parassiti che, attaccati alla mammella della Pubblica Amministrazione o dei finanziamenti privati elargiti in cambio di favori e favoritismi, cercano di raccontare l’Italia di oggi.
Prendi il tema delle start-up e del digitale. Esistono migliaia di persone che operano nel settore, con le difficoltà tipiche di questo business a cui si aggiungono le difficoltà dell’operare in Italia, tra burocrazia impossibile e leggi bizantine. Poi ci sono quelli che raccontano il digitale: è tutto bellissimo, si sono fatte grandi cose, chi si lamenta è un rosicone, chi prova a indicare priorità diverse è invidioso, chi fa notare le incongruenze di mescolare pubblico e privato in maniera poco trasparente è un brontolone.
Il megafono amplifica i segnali del “va tutto bene”, tra eventi privati – ma pagati dalla Pubblica Amministrazione – ed eventi pubblici – ma pagati da aziende private a caccia di benevolenza negli ambiti governativi. E così, tra un evento e l’altro, tra un blog pagato dall’azienda di turno e un’associazione privata finanziata chissà come, diventa tutto bellissimo. Un po’ come A Small World, ma meglio perchè parlare di digitale e startup è molto più cool&trendy, per dirla come il noto giornalista che non riesce a terminare una frase di italiano senza aver usato almeno 3 parole nello slang inglese dei ggggiovani tecnofanatici.
Così, un evento che racconta di startup meravigliose che non fatturano nemmeno un euro (che sarà mai, in fondo non è quella la motivazione per fare l’imprenditore) e che il prossimo anno saranno al 99% dimenticate (la moria è naturale, se poi i pesci sono deboli è semplicemente accelerata) diventa l’evento mondial-globale a cui se non partecipi sei uno sfigato, perchè non prenderai il premio “startup dell’anno” o “guru del digital italiano”, da mettere rigorosamente nel CV e da spendersi nell’ennesimo convegno della settimana successiva.
Perché poi “io odio i convegni”, “basta parlare bisogna fare” e compagnia cantante sono gli slogan più usati ma meno rispettati di questo millennio digitale: non a caso vengono scanditi dal palco de convegni, tipicamente uno a settimana nonostante “quest’anno basta convegno adesso è il momento dei maker”. Se serve il pallottoliere per contare quanto tempo passa dal “basta convegni” al convegno successivo, ve lo presto volentieri.
In questa para-comunicazione da guru – o meglio, visto il tentativo di accaparrarsi poltrone e prebende, da paraguru – succede anche che una simpatica iniziativa che mette insieme un po’ di persone che lavorano nel digitale diventi nella cronaca paracomunicativa del paraguru il video che riunisce i top manager italiani. Un po’ come le angurie che diventano piselli sgranati.
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