Interessante discussione suFriendfeed, nata da un bel post di Stefano sul Social Media Monitoring e relative implicazioni: Indipendentemente dalla grandezza del brand o dalla ramificazione della propria presenza online, ascoltare non basta. Quello che vorrei proporre è un processo di monitoring strategico in cui l’ascolto delle conversazioni degli utenti è finalizzato alla definizione di una strategia volta a mettere in pratica gli insight emersi dall’analisi.
Il Social Media Marketing (SMM) è qualcosa che arriva dall’alto, con comunicatori di professione che ‘guidano’ le conversazioni in rete. Qui si parla invece di Social Media Customer Caring (SMCC), qualcosa che nasce dal basso. Se il SMM è qualcosa che va affermandosi da qualche mese, il primo merita sicuramente un approfondimento.
La discussione ha più ramificazioni, certamente la prima riguarda le integrazioni dei tool di CRM (per l’assistenza clienti) con le piattaforme social, al fne di arrivare ad un unico ambiente in cui sia possibile (anche) fare SMCC. La prima osservazione su questo punto è, oltre al problema degli investimenti (integrare seriamente può costare milioni di euro) e del change management (cambiare processi costa fatica, richiede lavoro e formazione, ecc), che esiste una forte paura di perdere il potere. Quello che cambia lo status quo delle cose non sempre è visto bene per cui la ‘politica degli orticelli’ attuata da molti manager resiste, rallentando i cambiamenti inevitabili e uccidendo sul nascere i cambiamenti deboli. In altre parole, in un processo di CRM tipicamente a piramide e guidato dall’alto, perdere il controllo per il ribaltamento della piramide è un processo non banale, certamente non immediato ma soprattutto non facile da imporre in azienda.
Il crowdsourcing, con soluzioni anche di CRM basate sulle community, è una delle strade da percorrere: l’azienda ha forti benefici economici che può in parte girare ai clienti e in parte ai crowdsourcers, arrivando ad un’assistenza in tempo reale, stratificata (primo livello dà risposte basic, il secondo livello specializzato accede ai sistemi per problemi complessi), scalabile e diffusa su tutte le piattaforme grazie al monitoring.
Nel settore in cui lavoro, ci sono ottimi esempi di comunità collaborative in cui clienti-fan-impiegati costruiscono una base di conoscenze che sostituisce egregiamente le più comuni risposte date dai servizi clienti (eh già, la maggior parte dei contatti al servizio clienti ha come oggetto la richiesta informazioni, seppur legate al proprio profilo, e non la soluzione di un problema specifico). Non esistono ancora, aggiungo purtroppo, esempi vincenti di azioni SMCC su larga scala, basate su piattaforme integrate e con team di risorse e budget coerenti con gli obbiettivi.
SMM e SMCC sono due strade che prima o poi si incontreranno: il social media marketing, fatto di comunicazione e ‘raddrizzamento’ di comunicazioni distorte e il social media customer caring, fatto di persone che hanno un problema personale e lo vogliono risolvere. Alla prima strada bene o male ci si sta arrivando, troppo spesso con poche risorse e/o risorse esterne (la consulenza esterna se non c’è knowledge interna serve, ma per fare formazione e permettere a qualche interno di apprendere non per affdare in outsourcing la propria comunicazione) ma tutto sommato una decina di case history italiane decenti le abbiamo.
Per il SMCC, la strada è difficile: sviluppi con costi che possono essere elevati, difese del proprio orticello da parte di alcuni manager, un investimento decisamente più importante sono ostacoli non facili. Il Customer Care sui social media non richiede un piccolo team di comunicazione, richiede una piattaforma, team di lavoro ‘importanti’ nelle numeriche, cambio dei processi di assistenza che passa da mono o bicanale (tipicamente telefono e mail, sperando nella morte del fax come strumento di contatto), cambio di mentalità nel management e in chi porta avanti assistenza, fiducia nei clienti scelti – e strumenti di monitoraggio costante – per l’assistenza basic nel caso si voglia percorrere la via del crowdsourcing.
Ecco perchè se il social media marketing è sulla bocca di tutti, l’assistenza clienti social su larga scala è qualcosa che è dietro l’angolo, ma che ancora non ha superato un paio di ostacoli fondamentali per lo sviluppo. In attesa che cambi il vento, il povero stageur del SMM si smazza a manina tutte le lamentele dei clienti… con risultati non sempre proporzionali allo sforzo richiesto.
by bruno lai
12 Ago 2010 at 17:33
Bello, mi piace! A mio avviso, occorre stare al passo coi tempi, il che vuol dire rendersi conto che le posizioni monopolistiche o di leadership fanno presto a crollare. Più che dei managers, che se la svignano quando capiscono che il danno è fatto, il problema va portato sugli investitori. Solo che in genere, queste figure sono rigide metalità, in alcuni casi imbalsamate a logiche di tipo numerico. l’ideale sarebbe un connubio forte tra tutti gli attori in gioco e l’istituzione della figura aziendale del Trend Manager che può anche essere esterno all’azienda. I social cosi, come li chiama max, generano chiacchiere, e quelle possono essere un plus o un minus valore per l’azienda. La cosa un po anomala è che si vede che la cultura dell’accoglienza aziendale non va, non viene riconosciuta, fa acqua. Si, perchè, se io per risolvere il problema automaticamente penso a girare sui forum, invece che rivolgermi al produttore del pc o al gestore del servizio, allora vuol dire che non ho trovato un rispontro positivo azienda-cliente. Quando gestivo lo start up della Chat Dell, mi sono posto come obiettivo quello di approcciare in maniera dinamica. Il risultato finale fu shoccante, sia per numeri di contatto, sia per questionari compilati, per problematiche risolte e per qualità accordata al servizio. L’esperienza in chat superò per valore quella telefonica, nessuno ci avrebbe mai scommesso. Ecco quindi quello che manca a mio avviso in molte società. Una chat, ovvero un contatto dinamico veloce, semplice, dove si può risolvere in real time un problema, anzi, dove la chat non è più un luogo dove parli di un problema, ma dove cerchi la soluzione. Alcuni dovrebbero meditare su questo, perchè confondono lo strumento chat con un luogo di perdizione, ma se i social network basano proprio il loro successo su tale strumento, perchè non implementare il tutto nel proprio sito istituzionale? L’incontro, per quanto mi riguarda, su scala differente c’è già stato, funziona, e dovrebbe essere messo a disposizione di tutti.
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by Tweets that mention social media marketing e social media customer caring | Telcoeye di Massimo Cavazzini -- Topsy.com
12 Ago 2010 at 17:35
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by Riccardo Campaci
12 Ago 2010 at 17:36
Non fa una grinza.
Mi soffermo solo su un punto:
“Il crowdsourcing, con soluzioni anche di CRM basate sulle community, è una delle strade da percorrere”
Può essere una pericolosa arma a doppio taglio; spesso il SMM si trasforma – più precisamente si deforma – involontariamente in SMCC perchè il canale sociale diventa un ulteriore sfogo per la clientela scontenta.
E lì, con il crowdsourcing, possono essere volatili per diabetici.
E non tutti se la cavano regalando qualche bumber 🙂
by admin
12 Ago 2010 at 17:38
Riccardo mi sfugge però il legame… nel senso: la gente sui social si lamenta a prescindere dal crowdsourcing, che può diventare un modo per rispondere velocemente alle richieste basic e per avere ‘antenne’ sul territorio (affiancate al monitoring via spider, ovviamente). in che modo il crowdsourcing può aumentare le lamentele sui social media?
by bruno lai
12 Ago 2010 at 17:53
Posso offrire un contributo basato sul vissuto alla domanda: …in che modo il crowdsourcing può aumentare le lamentele sui social media? Capita delle volte “non poche” che l’informazione che arriva dalla folla, sia non vera, frutto di analisi personali che però non trovano riscontro nella realtà dei fatti. In quel contesto, una personalità nota o che ha seguito nel CwSrc, può dar luogo ad una comunicazione fortemente distorta della realtà. E’ spesso capitato per anomalie su alcuni prodotti, che hanno poi portato a dire che qualsiasi lotto fosse affetto da tale anomalia e non è facile rimettere il treno sui binari giusti, se si innesca questo trend. In tal caso, il crowdsourcing degenera, e le idee del crowder vengono percepite come comunicazione aziendale. In pratica si ingenera un cortocircuito percettivo comunicativo e quello che non è mai stato detto diventa verosimile, e ciò che è vero passa in secondo piano. c’è l’arma di difesa ovviamente: in tal caso entri sul blog o sul forum e devi far passare la comunicazione corretta, per forza di cose, non c’è santo che tenga. Un messaggio crowd, anche involontariamente errato o percepito come tale, può rallentare le vendite di prodotto con ripercussioni anche sul venduto dei 15-30 gg sucessivi, con tutto quello che ne consegue ovviamente.
by Riccardo Campaci
13 Ago 2010 at 09:43
Bruno mi ha preceduto.
Pensando ad un crowdsourcing veramente ben organizzato il problema potrebbe non sussistere.
Vedo il pericolo quando si percepisce la voce del “crowd” come come ufficiale, sebbene non lo sia fino in fondo (o almeno abbia la potenzialità di non esserlo).
by admin
13 Ago 2010 at 09:53
E’ che spesso si dimentica che le persone comunque stanno parlando. Esserci o non esserci modifica le dinamiche ma il non esserci non evita che se ne parli male, giusto? in quest’ottica, la folla (o se vogliamo la crowd) c’è già. per farla diventare source, serve una piattaforma, un cambio di prospettiva e un insieme di processi strutturati. La crowdsource quindi non parla in nome dell’azienda, parla dell’azienda… che è diverso. ovviamente perchè accada non deve essere un processo spontaneo ma come mi piace efinirlo, spintaneo (ovvero spontaneao nella nascita ma controllato e guidato nella sostanza)
by bruno lai
13 Ago 2010 at 11:45
Secondo me, anche perchè poi ci sono stato dentro da giovine 🙂 fare crowd è affascinante, ma se un’azienda facesse l’errore di basarsi sul crowd, sarebbe destinata a lunghe sofferenze. Nessuno fa nulla A GRATIS PER SEMPRE 🙂 dai moderatori di forum, ai super esperti, alla fine, stare in un social, o fare la voce solista che orchestra un po il tutto, per pura passione, ti porta via tanto tempo della tua vita privata! Non puoi resitere in eterno, salvo che non ne hai un tornaconto o che la cosa non ti tolga qualcosa di importante, es, il tuo tempo libero. Se io azienda X, do in mano la gestione della mia immagine al crowd, perchè ha costo “visibile” zero, alla fine possono succedere più cose. 1) se il crowder ha una brutta esperienza, mi massacrerà mediaticamente. 2) se ha una buona esperienza, propone al meglio il mio brand. 3) se si stanca perchè comprende che sta lavorando Gratis e va via, la voce solista viene meno, quindi anche la mia promozionalità decade. Ritengo che un pool di esperti o smanettoni, retribuiti, debba ormai essere presente in ogni azienda che ha presenza sul web o che ha un forte brand, perchè lasciare tutto al caso è decisamente più oneroso di gestire una struttura di gestione del data maining sociale, che non è costituito dal numero di accessi, ma dalla percezione del brand e quella al momento i computers non sono arrivati a misurarla.
by Giovanni Schettino
13 Ago 2010 at 21:27
Ci sono dei casi in cui attraverso il social network non credo sia possibile fornire assistenza al cliente e in questo caso il contatto diretto con l’operatore è necessario e in questo Tim e Noverca fanno meglio di 3 contattandolo telefonicamente. Gran parte dei dubbi dei clienti sui social network rigurdano poi aspetti delle varie offerte che sono assenti sui siti web dei gestori, lasciando al visitatore intuire quello che dovrebbe essere scritto e non è scritto e sopravvalutando le capacità medie di comprensione di quest’ultimi, oppure una difficoltà spesso oggettiva nel trovare le informazioni stesse anche quando presenti. Il tutto sarebbe risolvibile anche con la possibilità di lasciare un feedback dalle varie pagine sulle info che ci cercavano e non si sono trovate e in base a questi ripensarle. Un esempio per tutti, sento ancora gente che acquista sim di un gestore (di cui non faccio il nome 🙂 e non capisce il perchè non funzionino sul loro cellulare, un fiammante gsm degli anni 90, e l’incazzatura, facilmente evitabile con maggiore chiarezza sin dall’inizio da parte del gestore, scatta in automatico.
Se a questo si aggiunge poi l’impossibilità di parlare con un operatore, se non si è ancora clienti, oppure avere informazioni contradditorie da più operatori, se si è già clienti, le informazioni sbagliate che da il rivenditore per ignoranza o spesso per profitto personale o dell’approfittarsi da parte di quest’ultimo del non detto del sito ufficiale per poter spingere il cliente verso un piano più conveniente, per lui, rispetto ad un altro oppure inventare fantasioni costi aggiuntivi che guarda caso andranno pagati sempre a lui, un ivr confuso, una miriade di numeri di telefono per l’assistenza al cliente o per l’accesso ai vari servizi, un sito web dedicata che dovrebbe avere come obiettivo quello di promuovere un’assistenza al cliente realizzata dal cliente che però si basa sulla logica sbagliata della raccolta punti, che si traduce in una community in cui chi fa la domanda e chi da la risposta è nella quasi totalità dei casi la stessa persona, una logica che non tiene conto di esempi illustri del web come Yahoo Answers, i vari forum di telefonia e la stessa Wikipedia dove non si guadagna nulla eppure gli utenti collaborano,
il cliente può solo ricevere informazioni per sentito dire, dai forum e dai social network oppure cambiare gestore
Ogni riferimento è puramente voluto 😀
by bruno lai
14 Ago 2010 at 12:25
Non affiderei MAI la gestione del mio parco clienti al crowd, ovvero al caso, ovvero al caos. Troppe opinioni personali, troppo parlare per ipotesi, la scelta sarebbe a dir poco IRRESPONSABILE. La folla, IMO può essere utile per la gestione del brand, per potenziarne la visibilità, delle volte anche per dare le prime risposte ad un problema standard. Solo che li è l’azienda che deve intervenire, perchè se un cliente appunto va sui forum, blog o social per avere una risposta, vuol dire che ha un bug di concezione. Il cliente per principio deve vedere l’azienda e i suoi strumenti come parte di una soluzione e non di un problema. Se non passa questa idea, è normale che poi si cerchi dimora altrove, ingenerando in tal caso, confusione, apprensione, riduzione della percezione del valore del brand. Sul dircosro delle SIM, eh eh, capito, però è anche vero che c’è ancora di produce reliquie only GSM 🙂 dai, siamo nel 3000. Mi ripeto e dico: portate il modo di dialogare del social in azienda, non tutto il social. Aprite una chat sperimentale ad un primo campione di clienti tipo e poi nel caso, ampliate su larga scala. Abolite il FAX: è cosa dell’era della pietra e date valore alla posta certificata. Qualunque cosa sia, non lasciate che siano gli altri a farla per voi, perchè fatta da voi è controllabile, lasciata agli altri è solo perdita di tempo: sono troppe le variabile che subentrano. La chat sei tu, chi può darti, chi puà darti di più.
by bruno lai
17 Ago 2010 at 11:14
Se iniziasse a far parte anche del presente, quella si che sarebbe una novità 🙂