I CV sono pieni di citazioni: dal social media strategist al community manager 2.0, dal social media expert al web 2.0 guru (sic!). Negli ultimi due anni, l’esplosione del fenomeno social media ha certamente aperto prospettive interessanti, anche considerando il difficile momento di mercato. Numerose aziende si sono avvicinate al mondo del 2.0, affidando ad agenzie esterne (e, si sa, chi vende setacci ai cercatori d’oro ci guadagna quasi sempre) o assumendo persone dedicate al mondo del social.

Con un rischio: che l’euforia per il social offuschi competenze molto meno modaiole e molto più operative. Prendendo il caso personale, le tre aree di cui mi occupo in azienda (social media, web marketing e web communication) hanno pesi diversi e sbilanciati  – per budget e per impegno in termini di ore-uomo – sulle ultime due, ma in termini di visibilità interna ed esterna la prima supera di gran lunga tutto il resto.

Essere un social media manager va di moda, piace ai recruiter, piace all’azienda, piace ai frequentatori del mondo 2.0; mandare avanti la baracca creando una strategia di comunicazione Web o allocando budget rilevanti è molto meno cool. Mesi spesi per il sito corporate, CMS sviluppati con un occhio al budget e un altro al SEO, posizioni scalate nella SERP, newsletter che passano da zero a milioni di iscritti, campagne SEM da decine di migliaia di euro al mese con ottimizzazioni giornaliere… tutto in secondo piano rispetto ad una twittata ad effetto.

Attenzione però: la moda del ‘social media expert’ è, appunto, una moda. Servono sempre e comunque solide basi Internet: pianificare una campagna di Facebook Ads senza avere le basi del display advertising, senza saper distinguere CPA CPM CPC o avere idea di che CTR aspettarsi, non avere idea di come si leggono i dati di Web analitycs o il funnel report di una newsletter significa essere relegati alla figura del ‘social media qualche cosa’, cool adesso ma magari in declino domani.

Il consiglio? Per le persone, approfittare dell’euforia per crescere e ampliare le proprie competenze negli ambiti in cui si è meno ferrati. L’ascensione dello stratega arriva prima o poi, come mostra il grafico qui a fianco, alla tempesta del conflitto: qualcuno riuscirà a salire la scala gradino dopo gradino ampliando le responsabilità verso nuove aree di business, qualcun altro passata la moda del social rimarrà a fare community management 2.0.

Per le aziende, il consiglio è di non farsi affascinare solo dal social: un manager deve essere tale in tutti gli ambiti, cavalcare una moda non può essere considerato un plus in fase di recruiting.

Un interessante approfndimento qui.

4 pensiero su “Lavoro: quale futuro per i social media strategist?”
  1. E’ una storia già vecchia, come in ogni settore/professione/moda ci sarà a breve una resa dei conti.

  2. ecco perchè un’azienda che cerca oggi un social media manager deve o puntare verso il basso (giovanissimo da far crescere anche su altri ambiti) o verso l’orizzontale (persona con esperienza internet a 360 gradi, che faccia *anche* social ma non *solo* social). strapagare oggi una risorsa che si è ‘inventata’ social negli ultimi due anni e sa fare solo quello è un grave errore, secondo me.

  3. molte aziende mi pare non lo capiscano. almeno le ho avvertite 😛

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